Cerca

Ieri sera, a Empoli, Michele Mari ha ricevuto il Premio Pozzale 2017, assieme a Mario Caciagli e Michele Cometa.

Ha una bella faccia Michele Mari, mi ha ricordato quella dell'attore che interpretò Ulisse nello sceneggiato televisivo degli anni sessanta: l'"Odissea" marcò, come "La freccia nera", la mia giovinezza.
Sulla fronte ha disegnate rughe profonde. Non so, forse sono patrimonio genetico di una terra, la Puglia, attraversata da sempre da popoli greco-balcanici, oppure il lascito delle esperienze di vita che ci racconta nei suoi libri... Però a me sono sembrate ulteriormente approfondite dalla perplessità, da una domanda: "ma che ci faccio qui?".

La scena. I riflettori illuminano il palco allestito nel Chiostro degli Agostiniani. Le poltrocine trasparenti di Kartell attendono di essere occupate dallo scrittore e da chi lo intervisterà. Dietro, su tre grandi schermi sono passate immagini della storia d'Italia e quelle dei precedenti Premi Pozzale che questa è la sessantaciquesima edizione. I saluti istituzionali già fatti. Il "bravo presentatore" (che ha anche l'ingrato compito di far rispettare i tempi) chiama sul palco il primo premiato con i membri del "comitato" che, si suppone, lo intervisteranno. Ma no, scorrono parole e parole - profonde, eh - e spazio per l'autore quasi non ce n'è. La cosa si ripete per tre.
Beh, è vero che uno scrittore si esprime in primo luogo nei suoi libri... ma, insomma, lo abbiamo invitato, viene da lontano, ha certamente qualcosa da dirci di sé, del suo pensiero, del suo lavoro; cavolo, caro "comitato", fallo parlare perché, qualsiasi cosa ci dica lui, ci intriga e ci interessa di più di tutto quello che tu pensi di ciò che ha scritto!

Anche sulla mia fronte sono comparse e persistono rughe profonde, come quelle di Michele Mari.

Ritratto di sanzio
About the Author