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<<McCurry non mi piace…>>, <<Oh, ma come? Perché? Se piace a tutti>>.

E' vero, le fotografie di Steve McCurry piacciono, a tanti. Non proprio a “tutti”, per esempio, per chi ne volesse una lettura dal punto di vista “estetico” c’è un vecchio (2011) e bell’articolo di Paolo Pecere su Minima&Moralia, qui: https://bit.ly/2LcfGvI .

Anche per non fare lo snob, sono andato a rivederlo “da vicino” (del resto, dato le ripetute proposte,  non è che manchino le occasioni!) a Villa Bardini, a Firenze (“Icons”, in mostra fino al 16 settembre 2018), ma zero emozioni, e forse un po’ di fastidio.

A me questo canone fotografico non interessa. In McCurry c’è una costante ricerca del “pittoresco”, dell'esotico, il suo è uno sguardo da turista (lussuoso, quello sguardo, certo) riconoscibile, purtroppo, anche in alcune inquadrature drammatiche, ai margini di guerre e catastrofi ambientali e sociali.

In molte di quelle foto non c'è interesse per il contesto (che infatti non si percepisce), non c’è racconto. Scatti tecnicamente eccezionali - ma fine a sé stessi - che vogliono sorprendere e impressionare i nostri occhi; persone ritratte per la loro “stravaganza” (in quanto lontane da parametri occidentali) cui non si dà alcun diritto di parola e quindi di esistere a prescindere dalla propria diversità (da cosa?, da chi?). In definitiva, questa è una fotografia che ha un problema etico, perché è colonialista.

 

Ritratto di sanzio
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